
La poetica barocca non è tra le più note, eppure alcuni passi che ho letto degli autori di questo periodo mi affascinano. In particolare questo stralcio de “L’elogio alla rosa” di Giambattista Marino che troviamo nel III canto dell’opera epica “Adone”, mi ha coinvolta parecchio.
Innanzitutto il topos letterario della rosa è piuttosto ricorrente soprattutto in epoca rinascimentale e ogni volta ha un significato differente. Vediamo, ad esempio, che in Ariosto è il simbolo della verginità. Oppure in Tasso della caducità dell’esistenza umana.
In Marino assume il significato di bellezza sovrumana che quasi appartiene alla sfera celeste, non solo perché paragonata alla bellezza del sole, ma soprattutto perché Venere ne pronuncia le lodi, dopo aver incontrato Adone ed essersene innamorata perdutamente.
Negli ultimi versi, infatti, mi è sembrato quasi che il Sole fosse la personificazione di Adone e La Rosa di Venere stessa. Entrambi capaci di essere meravigliosi nei propri rispettivi mondi, l’uno in cielo l’altra in terra, ma anche intenti a donarsi qualcosa tanto che la rosa diviene sole in terra e il sole rosa in cielo.
A dimostrazione che l’Amore renda l’uno parte dell’altro anche se involontariamente.
